Sovraindebitamento ed emergenza economica da pandemia Covid-19.

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  1. Accordo con i creditori e piano del consumatore in emergenza Covid-19.

All’atto di emanazione del Decreto Liquidità (decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020), nessuna norma si occupava in maniera espressa degli istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento; sicchè piovvero numerose e comprensibili critiche.

In tutti gli ordinamenti nazionali in cui è stata introdotta la possibilità di ristrutturazione dei debiti in senso concorsuale per i soggetti non fallibili (il nostro sovraindebitamento), ci si era posti tre principali obiettivi[1]:

  1. la ripartenza del sovraindebitato (c.d. fresh start), ovvero consentire al sovraindebitato di potersi liberare del fardello dei debiti ed onorarli – seppure in misura falcidiata – in base alle proprie possibilità reddituali e patrimoniali, nel rispetto della par condicio creditorum; in guisa che il sovraindebitato possa poi riorganizzarsi economicamente, contribuendo al sistema e soggiacendo al prelievo fiscale;
  2. la deflazione giurisdizionale: l’apertura di una procedura di sovraindebitamento permette di concentrare in una sola sede giurisdizionale plurime controversie e plurime procedure esecutive, impegnando il sistema giustizia in modo più snello ed efficiente;
  3. la riaffermazione della legalità: ovvero evitare che il soggetto in crisi cada nelle maglie della criminalità (la legge n. 3/2012 è stata varata come rimedio formale all’usura e all’estorsione).

Da ciò si evince quanto censurabile sia stata la dimenticanza del sovraindebitamento nella stesura del Decreto Liquidità.

A questa mancanza è stato, almeno in parte, posto rimedio con la legge di conversione (legge n. 40 del 5 giugno 2020).

  1. Accordo con i creditori e piano del consumatore già omologati: proroga di 6 mesi in automatico ex lege (art. 9, comma 1, Decreto Liquidità).

E difatti, l’art. 9 comma 1 del Decreto Liquidità è stato così novellato, introducendo, accanto al concordato preventivo e a gli accordi di ristrutturazione, anche il piano del consumatore e l’accordo con i creditori: “i termini di adempimento dei concordati preventivi, degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati aventi scadenza successiva al 23 febbraio 2020 sono prorogati di sei mesi”.

Valgono, naturalmente, le stesse osservazioni svolte nel precedente paragrafo 2.7: la proroga è automatica, senza valutazione alcuna da parte del Tribunale e senza necessità di atto di impulso del debitore.

Balza agli occhi, dunque, come il legislatore dell’emergenza abbia inteso favorire le procedure per sovraindebitamento solo in relazione ai piani del consumatore ed agli accordi con i creditori già omologati ed in corso di esecuzione.

Nessuna estensione al sovraindebitamento viene fatta delle disposizioni dell’art. 9 comma 2 (istanza per deposito di nuovo piano nelle procedure non ancora omologate) e comma 3 (memoria per proroga fino a 6 mesi dei termini originari del piano o dell’accordo non ancora omologati).

Persino la Corte di Cassazione, nella sua Relazione tematica n. 56/2020, ha ravvisato nel Decreto Liquidità e successiva legge di conversione l’assenza di disciplina per le imprese minori non fallibili, con la conseguenza che “per gli accordi sulla composizione della crisi o per il piano del consumatore non vi sia alcuna proroga dei termini di adempimento previsti nella proposta ai creditori, né alcuna possibilità per i soggetti sovraindebitati di adeguare le proposte già presentate e già approvate alle mutate condizioni economiche. Né parrebbero applicabili in via analogica le misure d’eccezione previste per le imprese fallibili[2].

Nessuna disposizione, dunque, per i casi in cui il piano del consumatore o l’accordo con i creditori debbano essere ancora omologati dal Tribunale, ma che ben subiscono l’impatto economico della pandemia da Covid-19.

Purtuttavia, come attenta dottrina ha osservato, “in filigrana, è possibile trarre… dalla l. n. 3/2012 già gli strumenti per trovare delle soluzioni alle apparenti lacune[3].

E pertanto, oltre alla eventuale possibilità di chiedere al Tribunale l’applicazione in via analogica dell’art. 9 Decreto Liquidità (valevole sul concordato preventivo, anche con riserva, e sull’accordo di ristrutturazione) anche al piano del consumatore ed all’accordo con i creditori, vi è anche la possibilità, per l’appunto “in filigrana”, di trovare all’interno della stessa legge n. 3/2012 delle soluzioni alle lacune originate dalla normativa emergenziale.

  1. Accordo con i creditori e piano del consumatore pendenti, ma non ancora ammessi e omologati: termine di 15 giorni per deposito di integrazioni alla proposta (art. 9, comma 3 ter, Legge n. 3/2012).

L’art. 9, comma 3 ter, della Legge n. 3/2012, prevede che, dopo il deposito della proposta di accordo con i creditori o di piano del consumatore, in fase anteriore all’ammissione e all’omologa, il Tribunale può concedere al debitore un termine perentorio[4] non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti.

Naturalmente, la predetta istanza per integrazioni e nuovi documenti potrà ben essere motivata come conseguenza dell’impatto economico derivante da pandemia Covid-19, sebbene la lettera dell’art. 9, comma 3 ter, l. n. 3/2012 non preveda espressamente la deduzione di motivazioni alla richiesta del termine.

La dottrina ha osservato che nel caso del piano del consumatore, l’unico ostacolo sarebbe la già intervenuta omologa; mentre nel caso dell’accordo con i creditori, l’unico ostacolo sarebbe l’intervenuta votazione negativa da parte dei creditori.

  1. Accordo con i creditori pendente, già ammesso, ma non ancora omologato: modifica alla proposta prima delle operazioni di voto (art. 11, comma 1, l. n. 3/2012).

L’art. 11, comma 1, l. n. 3/2012, consente al debitore di modificare la proposta di accordo successivamente all’ammissione (allorquando il Giudice ha verificato i requisiti di ammissione ed ha fissato l’udienza), ma prima che si siano svolte le operazioni di voto[5], rectius, prima che i creditori abbiano votato negativamente.

Anche questo momento può essere utilizzato dal debitore per modifiche alla proposta, in ragione dell’emergenza economica da pandemia Covid-19.

Ma se nel piano del consumatore non è previsto il voto da parte dei creditori al fine di raggiungere una predeterminata maggioranza, nell’accordo con i creditori è necessario procedere alle operazioni di voto, al fine di ottenere almeno il 60% favorevole dei crediti (anche mediante silenzio/assenso).

Va da sé che, nell’accordo con i creditori, la predetta istanza ex art. 11, comma 1, l. n. 3/2012 trova ostacolo nella già intervenuta votazione negativa da parte dei creditori; come del resto prevede il Decreto Liquidità per il concordato preventivo.

Quindi, nell’accordo con i creditori in sede di sovraindebitamento, qualora i creditori si siano espressi negativamente sulla proposta, il debitore non potrà più modificare la proposta di accordo, ai sensi dell’art. 11, comma 1, l. n. 3/2012[6].

Diversamente, nel piano del consumatore (che non prevede il voto), la predetta istanza potrà sempre essere depositata fino all’omologa; mentre nell’accordo con i creditori, la predetta istanza potrà essere depositata fino all’omologa, sempre che i creditori non si siano già espressi negativamente.

  1. Accordo con i creditori e piano del consumatore omologati: successive modifiche per impossibilità sopravvenuta (art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012).

Nel caso in cui, invece, le due procedure in questione siano già “chiuse”, ovvero vi sia già stata l’omologa da parte del Tribunale, è possibile, in questo contesto emergenziale, far leva sulla facoltà concessa al debitore dall’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012.

E difatti: “quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, quest’ultimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, può modificare la proposta”.

Quindi, riepilogando, nei procedimenti già omologati, il debitore ha di fronte a sé due strade:

  • 9, comma 1, Decreto Liquidità: ovvero fruire della proroga automatica ex lege di 6 mesi dei termini di adempimento della proposta di accordo o di piano;
  • 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012: ovvero modificare la proposta di accordo o di piano per impossibilità sopravvenuta di adempimento.

Va da sé che tali strade possano anche coesistere, posto che la proroga di 6 mesi del Decreto Liquidità non è soggetta ad atto di impulso del debitore, né a qualche vaglio di necessità od opportunità da parte del Tribunale.

Quindi, qualora la proroga di 6 mesi dei termini di adempimento non sia da sola sufficiente a sopperire ai problemi derivanti dalla crisi economica, il debitore ben potrebbe chiedere la modifica della proposta di accordo o di piano già omologata.

Dimostrando, in questo contesto, che l’impossibilità di adempiere alla proposta di accordo o di piano già omologata derivi dall’impatto economico negativo da pandemia Covid-19, quale causa a lui non imputabile.

Può essere interessante, sul piano pratico, raccontare quanto segue.

Il C.N.D.E.C. Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, unitamente alla F.N.C. Fondazione Nazionale dei commercialisti, ha diffuso, nell’aprile 2020, un documento titolato “Emergenza Covid-19: prime indicazioni operative per la gestione delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento”, con il quale intende offrire delle soluzioni per adeguare la normativa emergenziale alla legge n. 3/2012.

In particolare, il documento evidenzia la circostanza per cui l’art. 13 comma 4 ter, in caso di modifica del piano o dell’accordo per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore, preveda l’applicazione dei paragrafi 2 e 3.

In guisa da doversi “ripetere” la fase di deposito della proposta di accordo, munita della relativa attestazione dell’Organismo di Composizione della Crisi, che sarà notificata ai creditori per l’esercizio del diritto di voto, ovvero, per i piani del consumatore, passerà al vaglio del Giudice per le opportune valutazioni.

Ciò, secondo il documento, ostacolerebbe la celerità della procedura di modifica del piano e dell’accordo in un contesto emergenziale di difficoltà, mentre sarebbe auspicabile, in questi casi, una sorta di “procedimento abbreviato”.

  1. Accordo con i creditori e piano del consumatore omologati: risoluzione e cessazione per impossibilità sopravvenuta.

Abbiamo dunque richiamato i contesti in cui la legge, in qualche maniera, tutela il debitore in procedura per sovraindebitamento, qualora i presupposti siano mutati per gli effetti economici negativi della pandemia e dunque non per motivi a lui imputabili.

È doveroso, però, richiamare due disposizioni della legge n. 3/2012 che in ogni caso infliggono sanzioni al debitore, anche per motivi a lui non imputabili.

Innanzitutto, l’art. 14, comma 2, l. n. 3/2012, regola la risoluzione dell’accordo su istanza dei creditori e stabilisce che: “se il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile [anche, ndr] per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso”.

L’art. 14 bis, comma 2, lett. b), l. n. 3/2012, regola la cessazione degli effetti del piano del consumatore su istanza dei creditori e stabilisce che: “se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione del piano diviene impossibile [anche, ndr] per ragioni non imputabili al debitore” ciascun creditore può chiedere al tribunale la cessazione degli effetti dello stesso.

A quanto sopra, si potrebbe aggiungere anche il caso di cessazione automatica di diritto (quindi senza necessità di apposita istanza da parte di un creditore, essendo sufficiente un provvedimento d’ufficio da parte del tribunale) tanto degli effetti dell’accordo con i creditori, quanto degli effetti del piano del consumatore, allorquando “il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie” (art. 11, comma 5, l. n. 3/2012, richiamato dall’art. 14 bis, comma 1, l. n. 3/2012).

Per ciascuna delle disposizioni menzionate, è prevista la possibilità di reclamo al decreto secondo la disciplina per i procedimenti in camera di consiglio.

Ebbene, come si accennava, tutti questi casi infliggono sanzioni al debitore (ovvero la cessazione della procedura a vario titolo) che non riesce ad onorare i termini della proposta, anche qualora ciò avvenga per ragioni a lui non imputabili.

Nel contesto emergenziale che ci occupa, non desterebbe stupore l’eventuale iniziativa del creditore (o d’ufficio del tribunale) volta ad ottenere, a vario titolo, la cessazione della procedura, come conseguenza dell’inadempimento del debitore, anche qualora tale inadempimento derivi dalla crisi economica in corso.

Va da sé che la soluzione migliore per tale inconveniente sia una preventiva iniziativa del debitore, in fruizione delle possibilità descritte in precedenza, ovvero:

  • integrare la proposta di accordo o di piano del consumatore e produrre nuovi documenti prima dell’ammissione (art. 9, comma 3 ter, l. n. 3/2012),
  • modificare la proposta di accordo dopo l’ammissione, prima delle operazioni di voto (art. 11, comma 1, l. n. 3/202),
  • modificare accordo o piano del consumatore già omologati (art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012),
  • differire di 6 mesi i termini di adempimento di accordo o piano del consumatore già omologati (art. 9, comma 1, Decreto Liquidità).

Cioè: la tempestiva allerta da parte del debitore, per il quale l’adempimento è reso difficoltoso dalla crisi economica in corso, può addirittura evitare e prevenire un’eventuale iniziativa del creditore, volta alla cessazione della procedura, a vario titolo.

Purtuttavia, qualora il debitore sia rimasto inerte ed un creditore abbia invece attivato il tribunale per inadempimento al piano in corso, il primo potrebbe impugnare il correlato decreto (di risoluzione dell’accordo, di cessazione degli effetti del piano del consumatore, di cessazione degli effetti dell’accordo) secondo la disciplina per i procedimenti in camera di consiglio, deducendo il fatto che l’inadempimento, pur essendo avvenuto per causa a lui non imputabile (integrando quindi i casi di cessazione e di risoluzione), è stato comunque la conseguenza dell’emergenza sanitaria in corso.

  1. Giurisprudenza su sovraindebitamento ed emergenza Covid-19.

Particolarmente interessanti risultano i provvedimenti del Tribunale di Napoli Nord del 3 aprile 2020 e del 17 aprile 2020[7].

Come osservato[8], il “fil rouge” che collega questi due casi è costituito dall’ipotesi in cui il consumatore che aveva proposto un piano non possa più adempiere regolarmente alle scadenze previste perché il cash flow sul quale contava non c’è più o esso si riduce dal momento che, per la crisi, è stato collocato in cassa integrazione oppure licenziato.

Il primo provvedimento è relativo ad un caso in cui il debitore, che aveva già depositato domanda per l’omologa di un piano del consumatore, prima dell’omologa stessa e con udienza già celebratasi, deposita in via di urgenza istanza ai sensi dell’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012.

Difatti, in quei giorni il debitore, lavoratore dipendente, era stato messo in cassa integrazione Covid-19, e conseguentemente il suo stipendio sarebbe stato più basso di quello originario, divenendo così impossibile pagare l’importo mensile che, in base al piano, avrebbe dovuto conferire ai suoi creditori.

Talchè, con la predetta istanza ai sensi dell’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012, il debitore chiedeva in via di urgenza al tribunale di prorogare la partenza del piano al 1° ottobre 2020, allorquando non sarebbe più stato in cassa integrazione (chiedendo quindi una sorta di “sospensione”).

Il Tribunale di Napoli Nord, G.D. Dott. Graziano, con decreto del 3 aprile 2020, ha sostanzialmente accolto l’istanza del debitore, ma su presupposti diversi da quelli dedotti.

Difatti, il tribunale ha posto in evidenza quanto prima si è accennato, ovvero che l’istanza ai sensi dell’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012, presuppone che il piano del consumatore (o l’accordo) siano già stati omologati e che sopraggiunga successivamente l’impossibilità dell’esecuzione, per ragioni non imputabili al debitore.

Nel caso di specie, invece, pur essendosi già celebrata l’udienza, si era ancora nelle more dell’omologa del piano del consumatore.

Tuttavia, il Tribunale ha accolto l’istanza del debitore su due presupposti principali:

  • l’art. 91 del Decreto Cura Italia ha stabilito il generale principio per cui “il rispetto delle misure di contenimento… è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi inadempimenti”, e pertanto questo principio di carattere generale, nel contesto emergenziale da coronavirus, può essere applicata dal tribunale nel concedere la sospensione del termine di decorrenza degli obblighi da piano;
  • se il tribunale dovesse rigettare l’istanza (in quanto impropriamente basata sull’art. 13, comma 4 ter), successivamente all’omologa dovrebbe comunque concedere lo stesso provvedimento, in quanto il debitore reitererebbe la stessa istanza: quindi per motivi di economia processuale, l’istanza può comunque essere accolta anche se non vi è stata ancora l’omologa.

Questo provvedimento risulta interessante anche perché afferma (sebbene in maniera quasi apodittica) la prevalenza della possibilità per il debitore di chiedere la modifica del piano omologato (art. 13 comma 4 ter) rispetto alla possibilità per il creditore di chiedere la cessazione degli effetti del piano per inadempimento (art. 14 bis, comma 2, lett. b), l. n. 3/2012.

Scrive il Giudice: “il rapporto tra art. 13, comma IV ter e art. 14 bis, comma II, lett. b) va inteso nel senso che prevale la volontà del debitore di chiedere la modifica della proposta del piano rispetto a quella dei creditori di ottenere la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore (possibilità evidentemente riconosciuta solo in presenza di cause non imputabili al debitore e non certo in caso di suo colpevole inadempimento)”.

Il secondo provvedimento è relativo ad un piano del consumatore già omologato e già in fase di esecuzione, per il quale il debitore deposita corretta istanza ai sensi dell’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012.

Difatti, il debitore, lavoratore dipendente, aveva perso il lavoro a causa della crisi economica conseguente alla pandemia Covid-19 e pertanto chiedeva al tribunale di poter sospendere i pagamenti da piano (fino a quel momento puntualmente onorati), in particolare di poter sospendere i pagamenti in un arco temporale predeterminato, per un certo numero di rate; in modo da riprendere poi successivamente.

Il Tribunale di Napoli Nord, G.D. Dott.ssa De Gennaro, con decreto del 17 aprile 2020, ha accolto l’istanza del debitore, sostanzialmente sugli stessi presupposti del precedente provvedimento dello stesso tribunale del 3 aprile 2020 (prima esaminato), con un tassello in più, molto interessante.

Il Giudice, difatti, nella sua pronuncia, ha dedotto altresì l’applicazione in via analogica, al caso di specie, dell’art. 9 Decreto Liquidità, che, in quel momento (aprile 2020) non era ancora stato convertito in legge (n. 40 del 5 giugno 2020) e pertanto non ancora includeva (al comma 1) la proroga automatica ex lege di 6 mesi di accordi e piani già omologati alla data del 23 febbraio 2020.

Nonostante ciò, il Giudice ha ritenuto potessero applicarsi gli stessi principi anche al sovraindebitamento: “valga evidenziare che nel decreto liquidità, il legislatore riconosce la possibilità di rivolgere direttamente istanze al tribunale se motivate con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto della emergenza epidemiologica Covid-19, così facendo entrare nel diritto della crisi di impresa come rilevante, tipizzandolo, il fatto sopravvenuto non imputabile ad una delle parti coinvolte nella esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e della insolvenza”.

È evidente che in tale stralcio, il Giudice ha ritenuto, a buon diritto, che la normativa sul sovraindebitamento sia parte integrante del “diritto della crisi di impresa”, e come tale meritevole di applicazione analogica della normativa emergenziale in tema di procedure concorsuali maggiori.

  1. Liquidazione del patrimonio: rideterminazione del limite di sussistenza.

Giova rammentare che la procedura di liquidazione dei beni per sovraindebitamento, ai sensi degli artt. 14 ter e seguenti l. n. 3/2012, è un processo irreversibile, al pari del fallimento: pertanto, una volta aperta la liquidazione, non è possibile “rinunciarvi”[9].

Sono previsti meccanismi di conversione dell’accordo e del piano del consumatore alla liquidazione (art. 14 quater l. n. 3/2012), ma non viceversa.

Pertanto, in caso di apertura della liquidazione di tutti i beni del debitore, per far fronte ai propri debiti in misura concorsuale, l’unico elemento suscettibile di revisione è quello del limite di sussistenza personale e familiare stabilito dal Tribunale nel decreto di apertura (art. 14 quinquies, comma 2, lett. f, in conformità all’art. 14 ter, comma 6, lett. b), con eventuale correlata variazione dell’attivo liquidatorio (allorquando, dedotte le spese di sussistenza dai redditi del debitore, residua un margine disponibile, che va a confluire nell’attivo).

In particolare, l’art. 14 ter, comma 6, lett. b), stabilisce che siano esclusi dalla liquidazione, inter alia, “i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice”; mentre il successivo art. 14 quinquies, comma 2, lett. f) stabilisce che tali limiti debbano essere fissati nel decreto di apertura della liquidazione.

Non si rinviene alcuna disposizione che definisca immutabili – ovvero non suscettibili di revisione – tali limiti, posto che eventuale immutabilità sarebbe confliggente con la ratio stessa della norma, che intende garantire la dignitosa sussistenza personale e familiare del debitore non solamente all’atto di apertura della liquidazione (laddove vi è una prima cristallizzazione di tali limiti), ma per tutta la durata della liquidazione, obbligatoria per 4 anni.

Tanto più che l’art. 14 undecies l. n. 3/2012 stabilisce, per l’altro verso, che nel corso dei 4 anni di durata della liquidazione eventuali beni sopravvenuti costituiscono oggetto di liquidazione, con correlata necessità di integrare l’inventario; per beni sopravvenuti si intende anche liquidità finanziarie sopravvenute.

Da tutto quanto sopra, discende il generale principio per cui, una volta verificati i presupposti di ammissione alla procedura di liquidazione, la stessa si svolge in maniera flessibile e duttile per tutti i 4 anni successivi: e se ben può variare l’attivo liquidatorio, ben potrà anche variare il limite di sussistenza del debitore, in ragione delle sue entrate.

Attenta dottrina ha poi messo in evidenza[10] i plurimi richiami della l. n. 3/2012 ai procedimenti in camera di consiglio qualora compatibili (inter alia, il dettato dell’art. 14 terdecies, comma 6, l. n. 3/2012, in base al quale alla liquidazione “si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile”).

In ragione di questo richiamo, l’eventuale revisione dei limiti di sussistenza, in costanza di durata quadriennale della procedura di liquidazione, può fare diretto riferimento all’art. 742 c.p.c., dedicato alla modificabilità e revocabilità dei decreti.

In conclusione, in tale contesto, il debitore (che per effetto dei lockdown e della crisi economica da pandemia Covid-19) che ha visto diminuire le proprie entrate – con alterazione della “ripartizione” tra limite di sussistenza e margine disponibile per i creditori – potrà domandare la rideterminazione del limite di sussistenza fissato originariamente all’apertura della liquidazione.

O meglio: potrà dedurre una nuova situazione reddituale (peggiorativa rispetto alla precedente), tale per cui non è più possibile conferire alla procedura l’originario margine disponibile per i creditori (in quanto evidentemente, il minor reddito andrà a colmare quasi esclusivamente le spese di sussistenza).

  1. Divieto di esecuzione sull’abitazione principale e sovraindebitamento.

Altro tema scottante riguardante il sovraindebitamento nel contesto emergenziale da Covid-19, è quello relativo ai pignoramenti e alle esecuzioni sull’abitazione principale del debitore.

Ad occuparsene è il Decreto Ristori (decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, non ancora convertito in legge), il quale si propone “per la seconda volta di evitare, quanto meno temporaneamente, che i debitori soggetti a procedure esecutive immobiliari siano costretti a lasciare, quando sia staggita, la propria abitazione[11]. Difatti, al medesimo fine, era stato formulato l’art. 54 ter del Decreto Cura Italia.

Si ritiene utile una ricostruzione temporale delle disposizioni.

Il Decreto Cura Italia (decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020) è stato convertito, con modifiche, dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020 (entrata in vigore il 30 aprile 2020).

L’art. 54 ter del Decreto Cura Italia prevedeva che ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare che avesse ad oggetto l’abitazione principale del debitore era sospesa per 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione dello stesso Decreto Cura Italia.

Pertanto, le procedure esecutive a carico dell’abitazione principale erano sospese dal 30 aprile 2020 (data di entrata in vigore della legge n. 27/2020 di conversione del Decreto Cura Italia) al 31 ottobre 2020 (spirare del termine di 6 mesi).

Oggi, l’art. 4 comma 1 del Decreto Ristori (decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020 n. 137, non ancora convertito in legge) non fa altro che prorogare al 31 dicembre 2020 la sospensione delle procedure esecutive per il pignoramento immobiliare che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore[12] (precedentemente scadente al 31 ottobre 2020 in base all’art. 54 ter Decreto Cura Italia).

L’art. 4 comma 1 del Decreto Ristori aggiunge un altro tassello: sancisce l’inefficacia di ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare dell’abitazione principale, effettuata dal 25 ottobre 2020, fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso Decreto Ristori (che sarà presumibilmente alla fine di dicembre 2020).

Attenzione, però.

Tutto quanto sopra vale per le procedure esecutive individuali e non per i casi in cui il debitore abbia già radicato una procedura di composizione della crisi per sovraindebitamento.

Questo perché sia l’art. 54 ter del Decreto Cura Italia (che ha sospeso le esecuzioni immobiliari dal 30 aprile 2020 al 31 ottobre 2020), sia l’art. 4 del Decreto Ristori (che ha prolungato la sospensione delle esecuzioni immobiliari sino al 31 dicembre 2020, sancendone anche l’inefficacia) sono norme eccezionali e come tali non suscettibili di applicazione analogica, neppure al sovraindebitamento.

Chiarisce la giurisprudenza: “non si reputa, pertanto, invocabile l’applicazione di una norma eccezionale dettata per le procedure esecutive individuali [art. 54 ter Decreto Cura Italia o art. 4 Decreto Ristori, ndr] una disciplina ex artt. 14 ter e ss. l, n. 3/2012 che è, invece, esula dall’ambito di cui agli artt. 555 e ss. c.p.c., attesa la sua specialità. La natura concorsuale del procedimento di liquidazione e la conseguente non sussumibilità alla disciplina delle procedure esecutive che connota la procedura in esame si evince, peraltro, dallo stesso dato letterale laddove prevede all’art. 14- quinquies, comma 2, lett. b, l. n. 3/2012 che l’apertura della liquidazione del patrimonio determina il blocco delle azioni esecutive (individuali)” (Tribunale di Milano del 4 novembre 2020 G.D. Dott. Giani in R.G. n. 89/2020) [13].

Vi è da dire che, nell’istanza di liquidazione relativa alla predetta pronuncia del Tribunale di Milano, la richiesta di autorizzare il debitore a rimanere temporaneamente in possesso dei beni/diritti (rectius, dell’abitazione principale) è stata formulata in via generica, ovvero senza fare riferimento alla normativa emergenziale (art. 54 ter Decreto Cura Italia o art. 4 comma 1 Decreto Risori).

La predetta richiesta di autorizzazione a rimanere nell’immobile liquidando, già soggetto a procedura esecutiva, era invece fondata sulla disposizione di cui all’art. 14 quinquies, comma 2, lett. e), secondo la quale, con il decreto di apertura della procedura di liquidazione, il Giudice “ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore ad utilizzare alcuni di essi”.

Qualche ostacolo all’autorizzazione dell’utilizzo dell’abitazione principale poteva, diversamente, essere costituito dalla circostanza che la correlata procedura esecutiva individuale era già in stadio avanzato, ovvero era già intervenuta l’aggiudicazione come conseguenza di fruttuoso esperimento di vendita.

Purtuttavia, il Giudice, senza tenere conto di tale circostanza e senza motivare il diniego in base all’art. 14 quinquies, comma 2, lett. e), ha diversamente fondato il provvedimento in ragione dell’inapplicabilità in via analogica della norma emergenziale di cui all’art. 54 ter Decreto Liquidità)[14].

  1. Conclusioni.

In conclusione, l’intervento del legislatore dell’emergenza sugli istituti di composizione della crisi per sovraindebitamento appare quanto meno poco sollecito.

Solamente l’art. 9 comma 1, Decreto Liquidità (come convertito) stabilisce la proroga automatica ex lege dei termini di adempimento di accordo con i creditori e piano del consumatore già omologati, ove in scadenza successivamente al 23 febbraio 2020.

Per tutto quanto non normato, al fine di contenere l’impatto economico negativo derivante dalla pandemia Covid-19 sui soggetti non fallibili che necessitano di ristrutturazione debitoria, è possibile fare ricorso a quanto già previsto dalla legge n. 3/2012, ovvero opportunità di modifiche alle proposte di accordo o piano del consumatore, sia prima dell’omologa, che successivamente; oltre alla possibilità di revisioni reddituali in sede di liquidazione del patrimonio.

Non resta, dunque, che attendere l’entrata in vigore (al 1° settembre 2021, salvo proroghe) del nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, che – abrogando tanto l’attuale legge fallimentare, quanto la legge n. 3/2012 – sarà unica fonte del diritto della crisi, anche quando investe i c.d. soggetti (attualmente) non fallibili.

Cosicchè, ogni qual volta debba intervenirsi su tale diritto, novellando il nuovo Codice, verrà (forse) più naturale considerare anche la disciplina in materia di sovraindebitamento, che – a quel punto – sarà indissolubilmente legata a quella delle procedure concorsuali maggiori e della liquidazione giudiziale.

Milano, 2 dicembre 2020

Avv. Francesca Monica Cocco

 

[1] Fabio Cesare, “Le nuove frontiere del sovraindebitamento nella pandemia”, IlFallimentarista, Giuffrè, 14 aprile 2020.

[2] Corte di Cassazione, Relazione tematica n. 56 dell’8 luglio 2020 “Novità normative sostanziali del diritto emergenziale anti-Covid-19 in ambito contrattuale e concorsuale”, pag. 14.

[3] Fabio Cesare, “Il sovraindebitamento dopo la conversione del decreto liquidità (D.L. 23/2020)”, CrisieRisanamento.it, Giuffrè, 6 agosto 2020.

[4] La disposizione qualifica il termine come perentorio, ma non si esclude la possibilità di prorogarlo secondo gli ordinari principi della rimessione in termini stabiliti in via generale dall’art. 153, comma 2, c.p.c. (“la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”), posto che le fasi di lockdown che si sono susseguite hanno impedito al debitore di incontrare il Gestore della crisi ed il proprio advisor, con rallentamento della procedura per causa a lui non imputabile.

[5] Tribunale di Milano del 29 dicembre 2017, che ha riconosciuto al debitore la possibilità di modificare la proposta (applicando analogicamente, dunque, l’art. 172 l. fall.) essendo la richiesta pervenuta antecedentemente rispetto all’inizio delle operazioni di voto.

[6] Lorenzo Rossi, “Istanza di concessione del termine per la formulazione di una proposta di accordo migliorativa”, CrisieRisanamento.it, Giuffrè, 16 ottobre 2020, in commento al Tribunale di Mantova del 25 maggio 2020, che ha rigettato l’istanza del debitore di concessione di termine per effettuare una proposta migliorativa ai creditori, i quali si erano già espressi negativamente.

[7] Tribunale di Napoli Nord del 3 aprile 2020, reperibile inter alia su DirittoeGiustizia.it, Unijuris.it, IlCaso.it; Tribunale di Napoli Nord del 17 aprile 2020, reperibile inter alia su IlCaso.it, Unijuris.it; in senso conforme Tribunale di Napoli Nord del 17 luglio 2020 reperibile inter alia su IlCaso.it, Unijuris.it.

[8] Fabio Valerini, “Gli effetti delle sopravvenienze collegate all’emergenza COVID sui piani del consumatore”, DirittoeGiustizia.it, Giuffrè, 29 aprile 2020.

[9] Fabio Valerini, “Il debitore che abbia chiesto e ottenuto l’apertura del procedimento di liquidazione dei suoi beni ai sensi degli artt. 14 ter ss. della Legge n. 3/2012 non può rinunciare alla domanda proposta”, IlFallimentarista, Giuffrè, 19 aprile 2017, in commento al Tribunale di Venezia del 16 ottobre 2016; in senso conforme, Tribunale di Treviso del 22 giugno 2017 (reperibile su FallimentieSocietà.it e su Unijuris.it).

[10] Fabio Cesare, “Il sovraindebitamento dopo la conversione del decreto liquidità (D.L. 23/2020)”, CrisieRisanamento.it, 6 agosto 2020.

[11] Filippo Lamanna, “Gli effetti negativi del Covid-19 sul linguaggio di chi scrive le leggi: la sospensione/inefficacia delle procedure esecutive sulla prima casa del debitore”, IlFallimentarista.it, Giuffrè, 9 novembre 2020.

[12] La misura è valida solo per l’abitazione principale: quella casa dove abitualmente vivono il proprietario e i familiari. Il divieto di pignoramento si applicherebbe dunque se il debitore è residente in quella casa e questa sia accatastata a uso esclusivo di abitazione.

[13] Tribunale di Milano del 4 novembre 2020 G.D. Dott. Giani in R.G. n. 89/2020, in https://www.tribunale.milano.it/files/proconcorsuali/DECRETO%2089-20.pdf.

[14] Tra l’altro, la richiesta di permanenza ai sensi del novellato art. 560 c.p.c. era stata inoltrata anche in sede di procedura esecutiva individuale, ma rigettata sulla base del rischio di deprezzamento dell’abitazione in sede di vendita, qualora ancora occupato (Tribunale di Milano del 15 ottobre 2019, R.G.E. n. 2894/2016, G.E. Dott. Fiengo).

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